IL CONSIGLIO DI STATO

    Ha  pronunciato  la  seguente  decisione,  sul ricorso in appello
n. 5839/2003,  proposto  dalla:  SESIT  Puglia S.p.A., in persona del
legale  rappresentante  in  carica  rappresentata  e difesa dall'avv.
Antonio  Damascelli  e  domiciliata per legge presso l'avv. Del Pozzo
Vincenzo in via L. Arbib Pascucci n. 66, Roma;
    Contro  l'Azienda agraria Badessa, di Nicola Enrico Didonna & C.,
in  persona  del  legale  rappresentante in carica, non costituita in
giudizio;   per   l'annullamento   e/o   la  riforma  della  sentenza
semplificata  del  Tribunale  amministrativo  regionale Puglia, Bari,
sezione  I,  n. 1764/2003,  resa  inter partes e concernente il fermo
giudiziario di autoveicolo per inadempimento fiscale.
    Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
    Vista la memoria illustrativa dell'appellante;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,  alla  pubblica  udienza del 31 gennaio 2006 ed ancora,
per  il  riesame,  alla  Camera  di  consiglio  del 4 luglio 2006, il
consigliere Aldo Scola;
    Nessuno e' presente per le parti;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue.

                                Fatto

    La  societa'  attuale  appellante  impugnava  il provvedimento di
fermo  amministrativo  del veicolo FIAT Palio Weekend tg. BN093AK (di
proprieta'  dell'azienda  ricorrente  in  prime  cure),  disposto per
iniziativa  della  SESIT  il  3  marzo  2003, mediante iscrizione nel
P.R.A. di Bari (ed atti connessi), deducendo censure di:
        1)  violazione  dell'art. 86,  comma  4,  d.P.R. n. 602/1973;
carenza  ed eccesso di potere per ingiustizia manifesta, malgoverno e
sviamento;   incostituzionalita'  del  cit.  art. 86  (modif.  d.lgs.
n. 193/2001)  per  contrasto con gli artt. 24 e 76, Cost., in assenza
del regolamento di cui al ripetuto art. 86, comma 4;
        2)  violazione dell'art. 7, legge n. 212/2000, e dell'art. 3,
legge  n. 241/1990, per difetto di motivazione; eccesso di potere per
malgoverno   e  sviamento  per  omessa  indicazione  del  temine  per
ricorrere e del giudice competente;
        3)   violazione   dell'art. 62,   d.P.R.  n. 602/1973,  rfer.
art. 514,  c.p.  c.,  ed  art. 2759,  c.c.,  trattandosi  di  veicolo
aziendale impignorabile, in quanto destinato ad attivita' lavorativa;
        4)  violazione  dell'art. 3,  comma  4,  d.m. n. 503/1998, no
essendosi  rispetto  il  termine  di  5 giorni dalla sua adozione per
comunicarlo a chi di dovere.
    La  societa'  intimata  si  costituiva in giudizio ed eccepiva il
diritto di giurisdizione amministrativa e l'infondatezza del ricorso,
che  peraltro  veniva  accolto  dai  primi  giudici  con sentenza poi
impugnata  dall'attuale  appellante  per  l'errata qualificazione del
fermo  di autovettura come provvedimento amministrativo, l'erroneita'
dell'impugnata  pronuncia,  che  avrebbe  dovuto  invece declinare la
giurisdizione; infine, per l'ingiusta condanna alle spese processuali
subita in primo grado.
    All'esito  della  pubblica  udienza  di  discussione  la vertenza
passava  in  decisione,  dopo  che  l'appellante aveva depositato una
memoria   difensiva   richiamante,   in  particolare,  uno  specifico
precedente recentissimo di questo Consiglio di Stato (cfr. Sezione V,
dec. n. 4689/2005).

                               Diritto

    1.  -  Osserva il Collegio che la questione della giurisdizione m
relazione  al  fermo  di  veicoli  (c.d.  ganasce  fiscali)  previsto
dall'art. 86,   d.P.R.   n. 603   del  1973  ha  formato  oggetto  di
contrastanti pronunce da parte dei Tribunale amministrativo regionale
ed  e'  stata di recente oggetto di esame da parte della IV e della V
sezione  del Consiglio di Stato, che hanno ritenuto non sussistere la
giurisdizione di questo Consesso.
    Anche  la  Corte  di  cassazione,  con  pronuncia resa in sede di
regolamento  di  giurisdizione  e  pubblicata dopo la prima camera di
consiglio  relativa  al  presente giudizio, ha ritenuto sussistere la
giurisdizione del giudice ordinario (Cass. civ., sez. un., 31 gennaio
2006 n. 2053).
    Questo    collegio   dovrebbe,   pertanto,   adeguarsi   a   tale
orientamento, e, per l'effetto, declinare la propria giurisdizione ed
annullare senza rinvio la sentenza impugnata.
    Ritiene, tuttavia, il collegio che il diritto vivente, desumibile
dalle  citate  pronunce,  dia  luogo  a  seri  dubbi  di legittimita'
costituzionale, che appaiono non manifestamente infondati.
    2.  -  La controversia investe il fermo di un veicolo disposto da
una  concessionaria  della riscossione di entrate tributarie, a norma
dell'art. 86,  d.P.R.  29 settembre 1973 n. 602, nel testo introdotto
dal d.lgs. 27 aprile 2001 n. 193.
    Giova  ricordare  che  l'istituto  del  fermo  era stato inserito
dall'art. 5,  d.l.  31  dicembre  1996  n. 669,  nel testo del d.P.R.
n. 602/1973,  con  l'art. 91-bis,  d.P.R.  medesimo,  per i veicoli a
motore   ed   alcune   categorie  di  autoscafi,  attribuendosene  la
competenza  a  disporlo  alla  Direzione  regionale delle imposte sui
redditi,    allorche'    il    concessionario    avesse    dimostrato
l'impossibilita'  di eseguire il pignoramento per mancato reperimento
del bene.
    Con  la  riforma  del  d.P.R. n. 602/1973, disposta dal d.lgs. 26
febbraio 1999 n. 46, il fermo veniva spostato nell'art. 86, ed esteso
alla   generalita'   dei   beni   mobili  registrati,  ma  conservava
l'originaria  connotazione di strumento inteso alla conservazione del
bene  per  la  soddisfazione  del  credito  tributario, affidato alla
determinazione    dell'ufficio   finanziario   regionale,   allorche'
l'esecuzione   forzata   non   fosse  stata  possibile,  per  mancato
reperimento del bene.
    Sempre  con  la  novella  del  1999  il  fermo  veniva  inserito,
sistematicamente,   negli  atti  della  riscossione  (titolo  Il)  e,
specificamente,  nel capo III, espressamente intitolato «Disposizioni
particolari  in materia di espropriazione di beni mobili registrati»,
in  immediata successione al capo intitolato «Espropriazione forzata»
(capo  II),  nella  cui  sezione  I  sono  contenute  le disposizioni
generali  in  tema  di  riscossione  coattiva, fra cui quelle dettate
dall'art. 50 (termine per l'inizio dell'esecuzione).
    La disciplina introdotta nel 1999 (con l'attribuire la competenza
a  disporre  il  fermo  alla  Direzione regionale delle entrate ed il
condizionarne  l'esperimento  al  mancato  reperimento  del  bene  da
pignorare)   lasciava   l'iniziativa  del  fermo  all'amministrazione
titolare  del  diritto  di  credito,  ed  al  concessionario  la  sua
esecuzione,  mediante l'iscrizione nel pubblico registro, dopo di che
il concessionario non era esonerato dal perseguire il bene attraverso
la procedura di pignoramento, con le conseguenti responsabilita'.
    Cio'   rallentava   in   maniera  sensibile  il  procedimento  di
riscossione coattiva, accentuando l'aleatorieta' del recupero.
    Con   il   d.lgs.   27  aprile  2001  n. 193  e'  stata  prevista
l'attribuzione diretta, al concessionario, della potesta' di disporre
la  misura  conservativa,  con il solo limite del decorso del termine
stabilito  dall'art. 50,  comma 1, d.P.R. n. 602/1973 (vale a dire il
termine  per  l'inizio  del  procedimento esecutivo) e salve, in ogni
caso, le dilazioni o le sospensioni di pagamento accordate.
    Tale   novella   si   inserisce   nel   quadro  delle  misure  di
semplificazione  ed accelerazione delle procedure, che il legislatore
nazionale  ha,  nella  piu' recente produzione normativa, delegato al
Governo, in questa come in altre materie.
    Il  testo  dell'art. 86, d.P.R. n. 602/1973, nel testo introdotto
nel  2001,  demanda ad un futuro regolamento la disciplina attuativa:
«con  decreto  del Ministro delle finanze, di concerto con i Ministri
dell'interno  e  dei  lavori pubblici, sono stabiliti le modalita', i
termini  e  le  procedure  per  l'attuazione  di  quanto previsto nel
presente articolo», recita l'art. 86, comma 4.
    E'  sorta  questione  se,  nelle  more  dell'emanazione  di  tale
regolamento, che ancora non e' stato varato, fosse o meno applicabile
il  regolamento  esistente (d.m. 7 settembre 1998 n. 503), emanato in
attuazione  della  disciplina  precedente che, come visto, attribuiva
all'amministrazione    finanziaria,    e    non    direttamente    al
concessionario, il potere di disporre il fermo.
    La   questione   aveva   avuto  contrastanti  interpretazioni  in
giurisprudenza,    ma   la   tesi   prevalente   era   stata   quella
dell'inapplicabilita'  della  nuova  disciplina,  non essendo ad essa
adattabile il regolamento esistente.
    L'amministrazione  finanziaria  che,  con  circolari dell'Agenzia
delle  entrate  aveva  ritenuto  applicabile  il regolamento del 1998
anche  nel  vigore della nuova disciplina (circolare 24 novembre 1999
n. 221   e   risoluzione  l°  marzo  2002  n. 64),  si  era  adeguata
interlocutoriamente  al  prevalente orientamento giurisprudenziale e,
con  risoluzione 22 luglio 2004 n. 92, aveva invitato i concessionari
della riscossione ad astenersi temporaneamente dal disporre fermi.
    Infine, e' intervenuto l'art. 3, comma 41, d.l. 30 settembre 2005
n. 203, conv. nella legge 2 dicembre 2005 n. 248, che detta una norma
di  interpretazione  autentica  dell'art. 86,  d.P.R.  n. 602/1973, e
stabilisce che le disposizioni del citato art. 86 si interpretano nel
senso che, fino all'emanazione del decreto previsto dal comma 4 dello
stesso articolo, il fermo puo' essere eseguito dal concessionario sui
veicoli  a motore, nel rispetto delle disposizioni relative al d.m. 7
settembre 1998 n. 503 del Ministro delle finanze.
    L'Agenzia delle entrate ha adottato la risoluzione 9 gennaio 2006
n. 2/E,  con cui viene revocata la precedente risoluzione n. 92/2004,
e  si consente ai concessionari della riscossione di procedere in via
diretta  al  fermo,  a  condizione  che  l'iscrizione  di  fermo «sia
preceduta  da  un  preavviso, contenente ulteriore invito a pagare le
somme  dovute,  esclusivamente  presso gli sportelli della competente
azienda  concessionaria,  entro  i successivi venti giorni, decorsi i
quali,  il  preavviso  stesso assumera' il valore di comunicazione di
iscrizione di fermo».
    3.  -  Occorre anzitutto riportare, sinteticamente, gli argomenti
addotti  dalla V sezione del Consiglio di Stato (V, 13 settembre 2005
n. 4689),   seguita   dalla   IV   sezione  con  decisioni  in  forma
semplificata  (deliberate all'udienza del 13 gennaio 2006 ed in corso
di   pubblicazione),   per   negare   la  giurisdizione  del  giudice
amministrativo.
    4.  -  Secondo  la  V  sezione  la  disciplina  del  fermo recata
dall'art. 86,  d.P.R. n. 602/1973 non attribuirebbe al concessionario
poteri      di      natura      amministrativo-tributaria,     propri
dell'amministrazione,  bensi' si muoverebbe nella logica (propria del
diritto  comune) dell'attribuzione (al creditore) di strumenti idonei
a ricercare e conservare i cespiti del patrimonio del debitore idonei
a  garantire,  in  sede  esecutiva, la soddisfazione del credito, sia
pure  con  le peculiarita' connesse al titolo per il quale si procede
alla riscossione coattiva.
    Pertanto,   sempre   secondo   la   V  sezione,  sia  prima,  sia
successivamente  alla  riforma  del  2001,  il  fermo dei beni mobili
registrati  assolverebbe ad una funzione di conservazione del cespite
patrimoniale  del  debitore,  in  vista  dell'espropriazione  forzata
protesa  alla  realizzazione  del credito tributario, per molti versi
assimilabile  (con  le  peculiarita'  dovute  alla  natura  del bene)
all'iscrizione  ipotecaria  sui  beni  immobili prevista dall'art. 77
dello stesso decreto.
    Dalla  collocazione  sistematica  e  dal testo della norma che lo
prevede  (nella  formulazione  attuale  ed  in  quelle precedenti) si
evincerebbe  che  lo  strumento,  pur non ponendosi ancora nella fase
della  esecuzione,  o  degli  atti  esecutivi,  costituisce  un mezzo
cautelativo    ed    anticipatorio    degli   effetti   espropriativi
dell'esecuzione, che sottrae il bene innanzitutto all'uso al quale e'
destinato  (e  da  cui  potrebbero derivare conseguenze dirette sulla
idoneita'  a soddisfare, con l'esecuzione, la realizzazione coattiva,
totale  o  parziale,  del  credito) ed alla circolazione giuridica in
danno del creditore.
    In  tale  contesto  l'enunciato secondo cui, trascorso il termine
previsto   dal   primo  comma  dell'art. 50  (sessanta  giorni  dalla
notificazione  della  cartella  di pagamento) il concessionario «puo»
disporre   il   fermo  amministrativo  del  bene  mobile  registrato,
conferirebbe, al soggetto responsabile della riscossione, non gia' un
singolare   potere   autoritativo  e  discrezionale  in  vista  degli
interessi  pubblici specifici affidati alla cura dell'amministrazione
concedente,  bensi' una potesta' che si colloca (concettualmente) nel
quadro  dei  diritti  potestativi  del  creditore (quale e' quello di
promuovere  atti  conservativi  sui  patrimonio del debitore in vista
della  esecuzione forzata) che trovano nel diritto comune la naturale
collocazione  e  nel  giudice ordinario quello naturale, in quanto la
soggezione  del debitore all'esercizio della potesta' ha la sua fonte
nel  debito certo, liquido ed esigibile, che vincola il debitore alla
sua  estinzione  (con i mezzi ordinari o con l'esecuzione forzata), e
nel rapporto obbligatorio la sua intrinseca giustificazione.
    La  controversia  relativa  al  fermo,  sia  nella fase della sua
esecuzione  che  in  quella della sua disposizione, della quale viene
dato  avviso  al  debitore,  non  riguarderebbe ne' il tributo per il
quale  si  procede  alla  riscossione,  ne'  la  materia del pubblico
servizio   anche   nella   piu'  lata  accezione  assunta  dal  testo
dell'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come sostituito dalla legge
n. 205/2000   e   prima   dell'intervento   demolitore   della  Corte
costituzionale),  ma  si  muoverebbe  su  di  un  binario  del  tutto
differente,  che ha nel giudice ordinario l'autorita' giurisdizionale
deputata  a  conoscere delle relative controversie (nel limite in cui
le  stesse non siano sottratte alla cognizione di alcun giudice) come
specificato  dall'art. 57,  d.P.R.  n. 602/1973  (che  non ammette le
opposizioni  di  cui all'art. 615, c.p.c., fatta eccezione per quelle
relative alla pignorabilita' dei beni).
    Sempre  nella  logica  di  siffatta impostazione privatistica, e'
stato  anche  osservato (Tribunale amministrativo regionale Campania,
Napoli,  sezione  I, 16 settembre 2004 n. 12025) che l'esecuzione del
fermo,  affidata  ora direttamente al concessionario, non costituisce
altro  che  l'espressione  dello  jus  eligendi  (diritto  di scelta)
ordinariamente  riconosciuto, nelle procedure esecutive, al creditore
procedente   tra  i  diversi  mezzi  di  aggressione  del  patrimonio
dell'esecutato o tra diversi beni passibili di esecuzione forzata; si
tratta,  dunque,  di  una  facolta'  di  diritto  comune destinata ad
incidere  nella  sfera  giuridica  del  debitore  (che non vi si puo'
sottrarre,  se  non  con  l'estinzione  del debito), accostabili alle
potesta'   amministrative,   soltanto  per  il  tratto  comune  della
soggezione  di  chi e' destinato a subirle, senza che, per questo, il
potere  esercitato  esca  dalla sfera delle relazioni intersoggettive
per  essere ricondotto ai rapporti governati dal diritto pubblico, la
cui tutela appartiene alla cognizione del giudice amministrativo.
    La  sezione  V  conclude  pertanto nel senso che il fermo sarebbe
atto  funzionale  alla  esecuzione,  che  (pure  con  le connotazioni
particolari  derivanti  dalla  natura  del  rapporto obbligatorio, in
forza  del  quale  il  debitore  e'  tenuto  al  pagamento,  e  della
legislazione speciale che lo prevede, accordando poteri extra ordinem
al  creditore  ed  allo stesso incaricato della riscossione) dovrebbe
comunque  essere  inquadrato  (per  di  piu', nella sistemazione piu'
corretta  derivante  dalla  riforma  del  2001, che ha opportunamente
individuato  nello  stesso responsabile della riscossione il soggetto
abilitato  a disporlo) fra gli strumenti di conservazione dei cespiti
patrimoniali  sui  quali  puo'  essere  soddisfatto  coattivamente il
credito,  che l'ordinamento ordinariamente appresta. alla generalita'
dei creditori (in base alla scelta politica, di' carattere generale e
di  diritto  comune,  di una tutela piu' incisiva degli interessi dei
creditori,  nel  rapporto intersoggettivo debito-credito), cosi' come
prodromica   all'esecuzione   e'   la  notificazione  della  cartella
esattoriale  che  assolve,  nel  procedimento  di  riscossione,  alla
medesima  funzione  della  notificazione del precetto di pagamento di
diritto comune.
    In tale quadro, la cognizione delle controversie ad esso relative
si  sottrarrebbe alla giurisdizione del giudice amministrativo, sia a
quella  costitutiva  di  legittimita'  (non  essendovi  provvedimento
amministrativo  lesivo  di  interessi legittimi del titolare del bene
assoggettato)  sia  a  quella  esclusiva, eccezionalmente demandata a
tale giudice.
    Una certa propensione a ricondurre l'istituto nella giurisdizione
esclusiva  del giudice amministrativo, chiarissima in talune pronunce
di  primo  grado del giudice amministrativo (Tribunale amministrativo
regionale   Abruzzo,   Pescara,  19  luglio  2004  n. 704;  Tribunale
amministrativo  regionale  Puglia,  Bari,  sezione  I,  6 maggio 2004
n. 2065, 16 aprile 2003 n. 1764, 8 aprile 2003 n. 1812, 3 aprile 2003
n. 1567; Tribunale amministrativo regionale Puglia, Lecce, sezione I,
7  luglio  2004 n. 4880) e percepibile anche nell'ordinanza cautelare
della  sezione IV del Consiglio di Stato 13 luglio 2004 n. 3259 (che,
invero,  non  contiene  una  motivazione  espressa  sul  punto  della
giurisdizione)  sarebbe,  secondo  la  V  sezione,  ormai risolta, in
radice,  in senso contrario, dal ridimensionamento delle attribuzioni
del  giudice  amministrativo,  conseguente  alla sentenza della Corte
costituzionale  6  luglio  2004  n. 204,  che  ha  significativamente
modificato  il  testo  dell'art. 33, d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 (come
sostituito  dalla  legge  n. 205/2000),  dichiarandone,  tra l'altro,
illegittimo  il  primo  comma,  nella  parte  in cui prevede che sono
devolute  alla  giurisdizione  esclusiva  del  giudice amministrativo
«tutte  le  controversie in materia di pubblici servizi, ivi compresi
quelli»  anziche'  «le  controversie  in  materia di pubblici servizi
relative   a   concessioni   di   pubblici  servizi,  escluse  quelle
concernenti   indennita',   canoni  ed  altri  corrispettivi,  ovvero
relative  a  provvedimenti  adottati dalla pubblica amministrazione o
dal gestore di un pubblico servizio in un procedimento amministrativo
disciplinato dalla legge 7 agosto 1990 n. 241, ovvero ancora relative
all'affidamento   di  un  pubblico  servizio,  ed  alla  vigilanza  e
controllo nei confronti del gestore».
    Nel  senso della giurisdizione del giudice ordinario si ricordano
anche  Tribunale amministrativo regionale Emilia-Romagna, 25 novembre
2003  n. 2516; Tribunale amministrativo regionale Calabria, 20 giugno
2003  n. 2110; Tribunale amministrativo regionale Lombardia, 5 maggio
2003  n. 1140;  Tribunale amministrativo regionale Veneto, 30 gennaio
2003  n. 886),  e  la  giurisprudenza di merito del giudice ordinario
(Trib. Novara, 9 maggio 2003; Trib. Torino, 7 luglio 2004).
    5.  -  Ritiene tuttavia la sezione che vi siano fondati argomenti
per affermare:
        a)  che  il fermo di cui all'art. 86, d.P.R. n. 602/1973, sia
un provvedimento amministrativo;
        b)  che  su  tale  provvedimento  vi sia la giurisdizione del
giudice  amministrativo,  e  non  quella  del giudice tributario, ne'
quella del giudice ordmario.
    6.  -  In  relazione  alla prima affermazione, in sintesi, sembra
corretto  ricostruire  il  fermo come provvedimento amministrativo di
autotutela  conservativa del patrimonio del debitore tributario e non
come  strumento di autotutela civilistica in un ordinario rapporto di
credito-debito.
    Proprio la disamina del quadro normativo di riferimento induce il
Collegio a tale conclusione.
    7. - Giova anzitutto osservare che il d.P.R. n. 602/1973, nel suo
titolo II, disciplina la «riscossione coattiva e, nel capo II di tale
titolo, la «espropriazione forzata».
    Tale   collocazione   sistematica,  unitamente  ad  argomenti  di
carattere  storico  e  sistematico,  evidenzia  che  l'espropriazione
forzata    esattoriale    ha    connotati    profondamente    diversi
dall'espropriazione  forzata  disciplinata  nel  codice  di procedura
civile:  i  due  istituti, identici solo nel nome, sono diversi nella
natura  giuridica:  il  primo  e'  un procedimento amministrativo, il
secondo e' un processo giurisdizionale.
    Ed,  invero, il c.d. patto commissorio, che consente al creditore
di  soddisfarsi  in  via di autotutela sul patrimonio del debitore, e
dunque    con    una    espropriazione   forzata   privatistica,   e'
dall'ordinamento vietato per la generalita' dei creditori (art. 2744,
cod.  civ.),  in  quanto  la  soddisfazione  del  credito  in  via di
espropriazione  forzata  e'  affidata  ad un vero e proprio processo,
sotto  il  controllo  di  un  giudice, il c.d. processo di esecuzione
(libro III, cod. proc. civ.).
    In  questo  l'ordinamento  italiano  ha  seguito,  sin dal codice
civile  del  1865,  l'ordinamento francese che, con la legge 2 giugno
1841  n. 245  (codice di procedura civile), nel prevedere il processo
esecutivo   condotto   da  un  giudice,  vieto'  qualsiasi  forma  di
esecuzione mediante autotutela privatistica ed, implicitamente, anche
il c.d. patto commissorio.
    Ma  al divieto generalizzato di autotutela esecutiva si sottrae a
tutt'oggi,  almeno  in  parte,  lo  Stato per i crediti tributari: il
d.P.R.  n. 602/1973  disciplina  l'espropriazione forzata nell'ambito
della riscossione, sancendo che all'esecuzione esattoriale si applica
il  cod.  proc.  civ.  solo  se  non  derogato  e  nei  limiti  della
compatibilita':    si    tratta,   pertanto,   di   un   procedimento
amministrativo, con limitati momenti di processualizzazione.
    Da   una   disamina   del   d.P.R.   n. 602/1973  si  evince  che
l'espropriazione  forzata  a soddisfacimento dei crediti tributari e'
connotata da molteplici profili di autotutela pubblica esecutiva, che
sono  il  residuo di antichi privilegi del creditore, conservati solo
allo Stato in ragione delle peculiarita' del credito tributario.
    In sintesi, l'espropriazione forzata di cui al d.P.R. n. 602/1973
e'   condotta   dallo   stesso  concessionario  della  riscossione  e
dall'ufficiale  della riscossione e l'intervento del giudice e' molto
piu'   limitato  e  ristretto  rispetto  al  processo  di  esecuzione
delineato dal cod. proc. civ.
    Precisamente:
        l'art. 49,  d.P.R. n. 602/1973 avverte che all'espropriazione
forzata si applica il cod. proc. civ. solo se non derogato e solo nei
limiti della compatibilita';
        l'art. 49,  comma  3,  aggiunge  che  le  funzioni  spettanti
all'ufficiale giudiziario nel processo di esecuzione, sono attribuite
all'ufficiale della riscossione;
        la   vendita   dei   beni  pignorati  e'  fatta  a  cura  del
concessionario  della riscossione, senza necessita' di autorizzazione
del  giudice  (art. 52)  ed  il  procedimento di vendita si svolge in
maniera diversa rispetto a quanto prevede il cod. proc. civ.
        e'    fortemente   limitata   l'ammissibilita'   dei   rimedi
processualcivilistici      dell'opposizione      all'esecuzione     e
dell'opposizione  agli  atti  esecutivi, di cui agli artt. 615 e 617,
cod. proc. civ. (art. 57, d.P.R. n. 602/1973);
        e   eccezionale  la  possibilita'  che  il  giudice  sospenda
l'esecuzione esattoriale (art. 60).
    Da  tale quadro si evince che l'espropriazione forzata del d.P.R.
n. 602/1973  ha connotati peculiari, che l'avvicinano ai procedimenti
amministrativi   ablatori   e   dunque   a  strumenti  di  autotutela
pubblicistica, piu' che al processo di esecuzione forzata.
    Ed   e'  in  tale  quadro  che  va  collocato  il  fermo  di  cui
all'art. 86,  d.P.R.  n. 602/1973,  che  e'  strumento  di autotutela
nell'ambito del procedimento amministrativo di riscossione coattiva e
non  rimedio  cautelare  nell'  ambito  del  processo  di  esecuzione
forzata.
    8.  -  Si  deve,  in  secondo  luogo, considerare che il giudizio
civile  non  conosce, nell'ambito del processo di esecuzione forzata,
strumenti   di   autotutela   conservativa   rimessi   all'iniziativa
unilaterale  del  creditore,  il  quale  e'  invece  sempre  tenuto a
rivolgersi  al  giudice per assicurarsi la conservazione dei beni del
debitore a garanzia delle proprie ragioni di credito.
    Viceversa,   il   d.P.R.   n. 602/1973   ha   attribuito,   prima
all'amministrazione  tributaria  e poi direttamente al concessionario
della  riscossione,  un  potere di autotutela conservativa a garanzia
della  riscossione  del  credito tributario, costituito dal fermo dei
beni mobili registrati (in primis, veicoli a motore e autoscafi).
    Invero, si tratta di strumento che sortisce l'effetto di impedire
la  circolazione  del  bene  e  di  rendere inopponibili al creditore
tributario  gli  atti  di  disposizione  del  bene  (art. 5,  d.m.  7
settembre 1998 n. 503).
    Si tratta, dunque, di una misura che sortisce effetti analoghi ad
un  sequestro  conservativo,  con  la peculiarita' che viene disposta
senza  l'intervento  di  alcun giudice, ma in virtu' di un atto dello
stesso concessionario.
    Si   verifica,   pertanto,  una  limitazione  delle  facolta'  di
godimento  e  di  disposizione  inerenti al diritto di proprieta', in
virtu'  di  un  atto  autoritativo unilaterale e, quindi, secondo una
vicenda  assimilabile  ai  provvedimenti  amministrativi  ablatori e,
segnatamente, alle requisizioni.
    9.  -  Prima  della  novella del 2001 il fermo veniva chiesto dal
concessionario   della   riscossione   e   disposto   con   un   atto
dell'amministrazione    finanziaria,    che    veniva   espressamente
qualificato   dal   legislatore   come  «provvedimento»,  di  cui  il
concessionario  curava  l'iscrizione  nei  pubblici registri (art. 4,
d.m. n. 503/1998).
    Anche  la  versione  novellata  dell'art. 86, d.P.R. n. 602/1973,
nonostante   attribuisca   direttamente   al   concessionario   della
riscossione  il potere di disporre il fermo, continua a parlare di un
«provvedimento»  di fermo, stabilendo che il fermo si esegue mediante
iscrizione  nei registri mobiliari «del provvedimento che lo dispone»
(art. 86, comma 2).
    Emerge   dunque   un   dato   letterale   in   equivoco,  poiche'
l'espressione   «provvedimento»   e'   tipicamente   impiegata,   nel
linguaggio  normativo,  per  indicare  gli  atti  autoritativi  della
pubblica amministrazione.
    10.   -  Al  dato  letterale  si  aggiungono  poi  considerazioni
sistematiche.
    Mentre  la  generalita' dei creditori non dispone di strumenti di
autotutela  esecutiva  e  conservativa,  invece con l'art. 86, d.P.R.
n. 602/1973  si  attribuisce  al  creditore un potere particolarmente
incisivo  quanto  alla  sfera del debitore, che si giustifica solo in
funzione  del  rilevante interesse pubblico connesso alla riscossione
del credito tributario.
    Non  vi  e'  pertanto  un  paritetico rapporto di credito-debito,
riconducibile allo schema diritto soggettivo-giudice ordinario, ma un
potere  autoritativo unilaterale strumentale al soddisfacimento di un
interesse    pubblico,    riconducibile    allo    schema   interesse
legittimo-giudice amministrativo.
    11.  -  Prima  della  novella  del 2001, il potere di disporre il
fermo  era  attribuito  all'autorita' amministrativa: l'attribuzione,
ora,  al  concessionario  della  riscossione, risponde ad esigenze di
celerita',  ma  non  muta  la  natura  dello strumento, che rimane un
provvedimento  autoritativo,  attribuito al concessionario secondo lo
schema dell'esercizio privato di pubbliche funzioni.
    12.  -  Va  anche considerato che, mentre prima del 2001 il fermo
era  condizionato  al  mancato reperimento del bene da pignorare, nel
testo   vigente   dell'art. 86   il  fermo  puo'  essere  disposto  a
prescindere dall'esito infruttuoso del pignoramento.
    Cio'  implica  che  il  fermo  puo'  essere  disposto con la sola
condizione  che sia inutilmente decorso il termine di sessanta giorni
dalla  notificazione  della  cartella  di  pagamento, ma e' del tutto
svincolato dall'inizio del procedimento di esecuzione forzata, inizio
che,  secondo  la  regola generale divisata dall'art. 491, c.p.c., e'
segnato dal pignoramento.
    Sicche',   mentre   prima   della   novella  del  2001  il  fermo
presupponeva,  quanto  meno,  un  tentativo di avvio del procedimento
esecutivo (con ricerca dei beni da pignorare ed esito infruttuoso del
pignorarnento),  nel  testo vigente il fermo e' svincolato dall'avvio
del processo esecutivo, il che e' indizio del suo carattere di misura
di autotutela conservativa del patrimonio del debitore.
    13.  -  Si  deve,  ancora,  osservare che il comma 3 dell'art. 86
dispone  che  chiunque  circola  con  veicoli, autoscafi o aeromobili
sottoposti al fermo e' soggetto alla sanzione prevista dall'art. 214,
comma 8, d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285.
    Si  tratta  della  sanzione amministrativa pecuniaria e di quella
della  confisca del veicolo, previste dal codice della strada in caso
di circolazione di veicolo sottoposto a fermo amministrativo.
    Dunque,  sotto  il profilo sanzionatorio, la violazione del fermo
di  cui  all'art. 86 in commento viene normativamente equiparata alla
violazione del fermo amministrativo.
    Ora,  sarebbe  ben  strano,  se  il  fermo  di cui all'art. 86 in
commento  fosse  una  misura  di autotutela civilistica, che alla sua
violazione   non   conseguissero  sanzioni  civili,  bensi'  sanzioni
amministrative.
    14.  - Ancora, se si trattasse di atto di autotutela civilistica,
l'adempimento  da  parte  del  debitore  dovrebbe  di  per se' essere
sufficiente  a  far  venire  meno gli effetti del fermo: la prova del
pagamento  dovrebbe  consentire la cancellazione della iscrizione del
fermo  nei  registri  mobiliari.  Invece, l'art. 6, d.m. n. 503/1998,
stabilisce la inidoneita' della sola prova del pagamento a consentire
la  cancellazione  del  fermo. Occorre, invece, che il concessionario
comunichi   l'avvenuto   pagamento  alla  Direzione  regionale  delle
entrate,  che  nei successivi venti giorni emette un provvedimento di
revoca  del  fermo  inviandolo  al  contribuente  (nel nuovo assetto,
compete al concessionario disporre la revoca del fermo). Solo dopo il
provvedimento  di revoca e' possibile, per il debitore, conseguire la
cancellazione  della  iscrizione  del  fermo,  recandosi al p.r.a. ed
esibendo il provvedimento di revoca.
    Tale  assetto denota che il fermo non e' un atto materiale, ma un
provvedimento  amministrativo, che produce i suoi effetti finche' non
viene   meno   in   virtu'   di   un  atto  di  revoca,  tipico  atto
provvedimentale di ritiro, ed interviene quando mutino le circostanze
di  fatto  o per sopravvenuti motivi di pubblico interesse ovvero nel
caso   di   nuova   valutazione  dell'interesse  pubblico  originario
(art. 21-quinquies, legge 7 agosto 1990 n. 241).
    15.  -  Piu' in generale, va osservato che il d.m. n. 503/1998 ha
procedimentalizzato  il  fermo,  inserendolo  in  un  vero  e proprio
procedimento   amministrativo  (avviso  di  avvio  del  procedimento,
adozione  del  provvedimento  di  fermo,  revoca  del provvedimento),
sicche'  riesce difficile accogliere la prospettazione secondo cui il
fermo  rientra nel novero delle attivita' materiali di autotutela del
creditore in un rapporto paritario di credito-debito.
    In  piu',  come  si  evince  dall'ultima norma di interpretazione
autentica  dell'art. 86,  d.P.R.  n. 602/1973,  e  dalla  conseguente
risoluzione dell'Agenzia delle entrate n. 9/2006, e' ora demandato ai
concessionari   della   riscossione   di   adottare   e  revocare  il
provvedimento  di  fermo,  utilizzando il procedimento di cui al d.m.
n. 503/1998.
    Sicche',  i  concessionari  della  riscossione, lungi dal potersi
limitare  a  chiedere  al  p.r.a.  la  iscrizione  e la cancellazione
dell'iscrizione   del   fermo,  devono  seguire  un  vero  e  proprio
procedimento  amministrativo,  con  un  tipico  esercizio  privato di
poteri pubblicistici.
    16.  -  In  conclusione, sembra corretto ritenere che il fermo di
cui   all'art. 86,   d.P.R.   n. 602/1973,   sia   un   provvedimento
amministrativo  di  autotutela,  in  funzione dell'interesse pubblico
sotteso  alla  soddisfazione  del  credito  tributario, attribuito al
concessionario  della riscossione che, per tale profilo, e' esercente
privato di una pubblica funzione.
    Si  tratta  di  un  provvedimento riconducibile allo schema degli
atti  ablatori; in quanto provvedimento amministrativo, discrezionale
nell'an  e  nel  quid,  deve  essere  congruamente  motivato,  sia in
rapporto  alla  sussistenza  di  un  interesse  pubblico,  prevalente
sull'interesse  privato  alla  libera disponibilita' del bene, sia in
relazione  alla  proporzione  tra l'entita' del credito tributario da
riscuotere  ed  il  sacrificio  che  viene  imposto al privato con la
temporanea  sottrazione dell'uso e della disponibilita' giuridica del
bene, secondo canoni di proporzionalita' e di adeguatezza.
    17.  - Una volta ricostruito il fermo di cui all'art. 86, citato,
in  termini  di provvedimento amministrativo, occorre stabilire se la
giurisdizione   sulle   relative   controversie   spetti  al  giudice
amministrativo,   ovvero   a   quello   ordinario,  ovvero  a  quello
tributario.
    18.  -  Sembra  anzitutto  da  escludere  che  sul  fermo  di cui
all'art. 86,  d.P.R.  n. 602/1973,  vi  sia giurisdizione del giudice
tributario.
    Invero,  l'art.  2,  d.lgs.  31  dicembre 1992 n. 546, che indica
l'ambito della giurisdizione delle Commissioni tributarie, esclude da
questa  le controversie riguardanti gli atti della esecuzione forzata
tributaria  successivi alla notificazione della cartella di pagamento
ed, ove previsto, dell'avviso di cui all'art. 50, d.P.R. n. 602/1973,
per  le  quali  continuano ad applicarsi le disposizioni del medesimo
d.P.R..
    Inoltre,  il  successivo  art. 19  del medesimo d.lgs. elenca una
serie di atti tipici e nominati, che possono essere impugnati davanti
alle  Commissioni  tributarie,  e tra questi non e' compreso il fermo
tributario di beni mobili registrati.
    19.  -  Escluso  il  giudice tributario, rimane l'alternativa tra
giudice ordinario e giudice amministrativo.
    Sembra  al  Collegio che in tema di fermo, non dettando il d.P.R.
n. 602/1973  specifiche  disposizioni  in  tema  di giurisdizione, la
questione  vada  risolta  secondo  l'ordinario  criterio  di  riparto
diritti soggettivi - interessi legittimi.
    Giova  considerare  che, di fronte a provvedimenti amministrativi
autoritativi, il giudice naturale e' quello amministrativo (art. 103,
Cost.), a meno che non vi siano norme derogatorie espresse.
    Ed, invero, al giudice ordinario non e' attribuito, di regola, il
potere di conoscere in via immediata e diretta della legittimita' dei
provvedimenti   amministrativi,  salvo  il  potere  di  disapplicarli
(artt. 4 e 5, legge 20 marzo 1865 n. 2248, all. e).
    Nel  caso  specifico, nessuna norma del d.P.R. n. 602/1973 indica
quale giudice debba occuparsi del fermo amministrativo.
    Ne  consegue,  nel silenzio del legislatore, che la giurisdizione
sembra da attribuire al giudice amministrativo.
    L'opposta  soluzione,  che vuole competente il giudice ordinario,
si   tradurrebbe  nel  conferimento  allo  stesso  di  un  potere  di
annullamento non contemplato da un'espressa attribuzione legislativa.
    Giova  ricordare che nel diverso caso del fermo amministrativo di
veicoli,   previsto   dal   codice  della  strada  (art. 214,  d.lgs.
n. 285/1992),  vi  e' una norma espressa che attribuisce il potere di
cognizione e di annullamento al giudice ordinario (con il giudizio di
opposizione   alle   sanzioni   amministrative   di  cui  alla  legge
n. 689/1981).
    Ed  una norma espressa e' necessaria, perche' si tratta di deroga
al  sistema  generale,  che  vuole  il  giudice amministrativo, e non
quello   ordinario,  competente  a  conoscere  dell'impugnazione  dei
provvedimenti della pubblica amministrazione.
    Sicche',  mentre per il fermo previsto dal codice della strada vi
e'  una  norma  espressa  che  attribuisce  giurisdizione  al giudice
ordinario  ed indica il rito da seguire, attribuendo espressamente al
giudice  civile  il  potere di annullamento di un atto amministrativo
(rito   della  legge  n. 689/1981),  per  il  fermo  di  beni  mobili
registrati di cui al d.P.R. n. 602/1973 il legislatore tace in ordine
alla giurisdizione.
    Non  si puo' ad esso estendere la disciplina di cui all'art. 214,
codice  della  strada,  perche'  si  tratta di disciplina derogatoria
dell'ordinario riparto di giurisdizione e, come tale, non applicabile
analogicamente.
    Sembra  invece  corretto trarre, dal silenzio del legislatore, la
conseguenza  che  si applica la regola generale in tema di riparto di
giurisdizione.
    20.  - Una volta ricostruito il fermo di cui all'art. 86 (citato)
in  termini  di provvedimento amministrativo, ad avviso del collegio,
se  le  norme  contenute  negli artt. 49, 57, 86, d.P.R. n. 602/1973,
nonche'  quelle  contenute negli articoli 2 e 19, d.lgs. n. 546/1992,
vengono  interpretate, secondo il diritto vivente quale risulta dalla
giurisprudenza,  nel senso di attribuire la relativa giurisdizione al
giudice   ordinario,   le   stesse   appaiono   sospette   di  palese
illegittimita' costituzionale.
    Ed,  invero,  tali norme non attribuiscono, come gia' esposto, al
giudice   ordinario   un   potere   di   sindacato   pieno  sull'atto
amministrativo, esteso al potere di annullamento dell'atto.
    Sicche'  il  giudice  ordinario  non ha il potere di sindacare la
motivazione  del  provvedimento e, specificamente, la proporzione tra
l'entita' della misura ed il credito garantito.
    Se,  invece,  tali  norme  venissero interpretate nel senso della
giurisdizione   del   giudice   amministrativo  (ovvero  del  giudice
tributario),  vi  sarebbe  maggiore  tutela  per  il destinatario del
fermo,  avendo  il  giudice  amministrativo  (e quello tributario) il
potere  di sospendere ed annullare il provvedimento, previo sindacato
sul   corretto   esercizio   del   potere,  sulla  adeguatezza  della
motivazione  e, precipuamente, sulla proporzione tra misura del fermo
ed entita' del credito.
    Le  norme  citate,  dunque,  se intese nel senso di attribuire al
giudice  ordinario  la giurisdizione sul fermo, senza contestualmente
attribuirgli  una  giurisdizione piena sui provvedimento, appaiono in
contrasto con i seguenti articoli della Costituzione:
        3,  per  irragionevole disparita' di trattamento tra soggetti
destinatari  di  provvedimenti  amministrativi, in danno dei soggetti
destinatari dei provvedimenti di fermo, che non possono fruire di una
piena tutela di annullamento;
        16, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
liberta'  di  circolazione  dei  cittadini, limitazione che non trova
adeguata  tutela  mediante  un  sindacato  giurisdizionale  pieno sui
provvedimenti medesimi;
        41,  per  limitazione,  mediante  i  provvedimenti  di fermo,
dell'iniziativa economica privata, limitazione che non trova adeguata
tutela  mediante un sindacato giurisdizionale pieno sui provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti non siano proporzionati;
        42, per limitazione, mediante i provvedimenti di fermo, della
proprieta'   privata,  limitazione  che  non  trova  adeguata  tutela
mediante   un   sindacato  giurisdizionale  pieno  sui  provvedimenti
medesimi, laddove i provvedimenti non siano proporzionati.
    Le  questioni,  oltre  che  non  manifestamente  infondate,  sono
rilevanti  ai  fini  del  giudizio  in corso, in quanto alla luce del
diritto   vivente  questo  collegio  dovrebbe  declinare  la  propria
giurisdizione e, per l'effetto, annullare senza rinvio la sentenza di
primo grado.
    In  tal  modo,  si  determinerebbe  una  diminuita  tutela per il
ricorrente.
    Diversamente,  se  le questioni di costituzionalita' risultassero
fondate,  l'esito  del  giudizio  sarebbe  differente, potendo questo
Collegio  trattenere  la  causa  e  deciderla  nel  merito, valutando
l'adeguatezza  della  motivazione  del provvedimento e la proporzione
tra misura disposta ed effettiva entita' del credito.
    Le norme denunciate potrebbero essere interpretate, nel senso qui
proposto,  di  attribuire la giurisdizione al giudice amministrativo,
secondo   il  criterio  ordinario  di  riparto,  e  in  tal  caso  si
sottrarrebbero a censure di incostituzionalita': ma allo stato osta a
tale interpretazione il diritto vivente quale risulta dal consolidato
orientamento della giurisprudenza ordinaria ed amministrativa.
    In  conclusione, appare rilevante e non manifestamente infondata,
in  relazione  agli  articoli  3, 16, 41 e 42, Cost., la questione di
legittimita'   costituzionale  degli  articoli  49,  57,  86,  d.P.R.
n. 602/1973,  e  degli  articoli  2  e  19,  d.lgs.  n. 546/1992,  se
interpretati,   secondo   il  diritto  vivente  quale  risulta  dalla
giurisprudenza,  nel  senso  di  attribuire  al  giudice ordinario la
giurisdizione  sulle  controversie  in materia di fermo tributario di
veicoli,  perche'  non  attribuiscono  alla giurisdizione del giudice
ordinario  un  sindacato  pieno  sul  provvedimento,  anziche' essere
interpretati  nel  senso  di  attribuire  la giurisdizione al giudice
amministrativo.
    Il  giudizio  deve essere, quindi, sospeso, mentre gli atti vanno
trasmessi alla Corte costituzionale.
    Ogni  ulteriore statuizione in rito, nel merito ed in ordine alle
spese processuali viene rinviata alla decisione definitiva.